- parte 1 -
Letteratura fantastica.
C’è sempre qualcuno
che sostiene di non leggerla perché, dice, preferisce leggere di
cose reali. Un po’, ma solo un po’, lo invidio o, meglio, invidio
la sua convinzione di sapere con tanta illuministica certezza che
cosa è reale e che cosa non è. Secondo alcuni tutto sarebbe fatto
di pacchetti di energia che vibrano e, non so perché, tutto questo
non mi dà l’impressione di essere molto reale. Non sono reali i
pensieri e, secondo me, la Terra di Mezzo è reale quanto l’art.
2054 c.c., i prodotti finanziari derivati, i numeri irrazionali ed il
complesso di Edipo.
“Fantastico” per me è
ciò che, allo stato attuale delle conoscenze, non è verosimile, o
plausibile, ma non me la sento di negare con assolutezza che, da
qualche parte, anche in questo momento, Achille ed Ettore stiano
ancora rincorrendosi sotto le mura di Troia sotto lo sguardo attento
di Zeus. Schliemann ne sarebbe certo.
Chiarito quello che per
me è “fantastico” (cioè poco verosimile o poco plausibile)
vorrei anche chiarire che, a mio parere, si tratta di letteratura.
Qualcuno (probabilmente è
lo stesso di prima, sempre lui) aggiungerà “di genere” e mi par
di vedere il sorrisetto di compatimento.
“Genere… Embè? ”–
dico io.
Allora: secondo me i
generi sono utili; servono per sapere di che cosa parla un libro e
servono sia a chi scrive sia – e forse anche di più – a chi
legge.
Un genere raggruppa in un
unico insieme un gruppo di testi accomunati da caratteristiche
simili, costruiti secondo tecniche simili e che perseguono un simile
fine poetico.
Volete spiegarmi perché
un gruppo deve necessariamente essere qualitativamente inferiore ad
un altro? Volete dirmi perché scrivere e leggere di dybbuk, elfi e
vulcaniani valga ad identificare scrittore e lettore come un
bambinone malcresciuto?
Il solito Qualcuno –
che ormai sta diventandomi antipatico – sostiene che il “genere”
sia, in quanto tale, qualcosa di simile a un ghetto, una taverna
malfamata, una specie di club privè frequentato da gente poco
raccomandabile.
Peggio per lui, non
intendo perdere tempo a convincerlo. Ci sono storie scritte bene e
storie scritte male: una storia scritta bene dice cose intelligenti
in modo interessante, una storia scritta male no. In mezzo ci sono
variabili pressoché infinite e, come direbbe Forrest Gump, non ho
altro da dire su questa faccenda.
Il problema – il
problema della letteratura fantastica – è che è una letteratura
che prende le distanze.
Il Qualcuno, nella sua
supponente onniscienza, ignora probabilmente che, per vedere bene le
cose, a volte ce se ne deve allontanare.
Prendete un quadro: da
vicino vedete le singole pennellate, da lontano ve lo gustate.
La letteratura fantastica
(almeno quella buona) prende le distanze dalla realtà e, quando si
torna coi piedi per terra, non è escluso che la si capisca meglio,
la realtà.
Certo, a esagerare si
rischia di fare come quell’astronomo che, guardando le stelle,
cadde nel pozzo, ma ad esagerare dall’altra parte si rischia di
guardare il proverbiale dito anziché la luna. Ora: io non ho nulla
contro le dita, ma anche la luna mi pare interessante.
Osservando le cose da
lontano, però, si rischia anche di prendere delle cantonate
clamorose.
Nella lettura fantastica
si parla spesso per maiuscole: il Senso della Vita, l’Immortalità
dell’Anima, la Morte, il Destino del Mondo, l’Esistenza di Dio,
lo Scopo dell’Umanità, l’Origine del Tutto e così via.
Tutti concetti,
semplicemente, troppo grandi da poter essere facilmente colti nel
quotidiano. Bisogna prendere le distanze per capirli meglio e, così
facendo, si rischia di finire drammaticamente fuori strada o –
peggio ancora – di finire su strade così battute e consumate che,
ad ogni passo, rischiate di precipitare in un baratro.
Questo è, secondo me, il
problema, non il “genere”. Se volete metterla in altre parole si
potrebbe dire che è un genere molto difficile (“ma non era
inferiore?” beh, appunto).
“Bisogna scrivere di
ciò che si conosce” capita di sentir dire… ma quando mai. A
parte il fatto che esiste un verbo come “documentarsi” vorrei
dirvi che si mi fate vedere un tale che pensa di “sapere”
qualcosa su una qualunque delle quotidiane relazioni umane, mi
avrete fatto vedere, probabilmente, un tizio maturo per il manicomio…
inutile dirvi che penso sia Qualcuno.
Sappiamo di non sapere,
almeno dai tempi di Socrate, e non ci siamo mossi poi molto. In
questa ignoranza sta la libertà di parlare scrivere e leggere –
con uguale dignità – di cose non verosimili e non plausibili.
Oltretutto, c’è già stato chi voleva possedere la Conoscenza del
Bene e del Male e sappiamo com’è andata a finire (a proposito,
secondo alcuni pure questa sarebbe letteratura fantastica).
Divido la letteratura
fantastica, per comodità, in tre grandi aree, che si sovrappongono e
s’intersecano. Si tratta di generi, se volete, e quindi vale quanto
scritto sopra. Servono, fino a un certo punto, a chi legge e a chi
scrive, ma non ne faccio dei totem.
Sto parlando dell’horror,
della fantasy e della fantascienza.
Avevo detto, però, che
mi sarei limitato a quattro chiacchiere e mi accorgo adesso di essere
appena ad un quarto dell’argomento… beh, forse sono un
chiacchierone.
Per adesso, comunque, mi
fermo qui, riservandomi, se del caso, di riprendere il discorso.
- continua... -
Roberto Rossi "Rubrus"
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