giovedì 11 giugno 2015

[Focus] - Quattro chiacchiere sulla letteratura fantastica di Roberto Rossi “Rubrus” - parte 1


- parte 1 -

Letteratura fantastica.
C’è sempre qualcuno che sostiene di non leggerla perché, dice, preferisce leggere di cose reali. Un po’, ma solo un po’, lo invidio o, meglio, invidio la sua convinzione di sapere con tanta illuministica certezza che cosa è reale e che cosa non è. Secondo alcuni tutto sarebbe fatto di pacchetti di energia che vibrano e, non so perché, tutto questo non mi dà l’impressione di essere molto reale. Non sono reali i pensieri e, secondo me, la Terra di Mezzo è reale quanto l’art. 2054 c.c., i prodotti finanziari derivati, i numeri irrazionali ed il complesso di Edipo.
“Fantastico” per me è ciò che, allo stato attuale delle conoscenze, non è verosimile, o plausibile, ma non me la sento di negare con assolutezza che, da qualche parte, anche in questo momento, Achille ed Ettore stiano ancora rincorrendosi sotto le mura di Troia sotto lo sguardo attento di Zeus. Schliemann ne sarebbe certo.
Chiarito quello che per me è “fantastico” (cioè poco verosimile o poco plausibile) vorrei anche chiarire che, a mio parere, si tratta di letteratura.
Qualcuno (probabilmente è lo stesso di prima, sempre lui) aggiungerà “di genere” e mi par di vedere il sorrisetto di compatimento.
“Genere… Embè? ”– dico io.
Allora: secondo me i generi sono utili; servono per sapere di che cosa parla un libro e servono sia a chi scrive sia – e forse anche di più – a chi legge.
Un genere raggruppa in un unico insieme un gruppo di testi accomunati da caratteristiche simili, costruiti secondo tecniche simili e che perseguono un simile fine poetico.
Volete spiegarmi perché un gruppo deve necessariamente essere qualitativamente inferiore ad un altro? Volete dirmi perché scrivere e leggere di dybbuk, elfi e vulcaniani valga ad identificare scrittore e lettore come un bambinone malcresciuto?
Il solito Qualcuno – che ormai sta diventandomi antipatico – sostiene che il “genere” sia, in quanto tale, qualcosa di simile a un ghetto, una taverna malfamata, una specie di club privè frequentato da gente poco raccomandabile.
Peggio per lui, non intendo perdere tempo a convincerlo. Ci sono storie scritte bene e storie scritte male: una storia scritta bene dice cose intelligenti in modo interessante, una storia scritta male no. In mezzo ci sono variabili pressoché infinite e, come direbbe Forrest Gump, non ho altro da dire su questa faccenda.
Il problema – il problema della letteratura fantastica – è che è una letteratura che prende le distanze.
Il Qualcuno, nella sua supponente onniscienza, ignora probabilmente che, per vedere bene le cose, a volte ce se ne deve allontanare.
Prendete un quadro: da vicino vedete le singole pennellate, da lontano ve lo gustate.
La letteratura fantastica (almeno quella buona) prende le distanze dalla realtà e, quando si torna coi piedi per terra, non è escluso che la si capisca meglio, la realtà.
Certo, a esagerare si rischia di fare come quell’astronomo che, guardando le stelle, cadde nel pozzo, ma ad esagerare dall’altra parte si rischia di guardare il proverbiale dito anziché la luna. Ora: io non ho nulla contro le dita, ma anche la luna mi pare interessante.
Osservando le cose da lontano, però, si rischia anche di prendere delle cantonate clamorose.
Nella lettura fantastica si parla spesso per maiuscole: il Senso della Vita, l’Immortalità dell’Anima, la Morte, il Destino del Mondo, l’Esistenza di Dio, lo Scopo dell’Umanità, l’Origine del Tutto e così via.
Tutti concetti, semplicemente, troppo grandi da poter essere facilmente colti nel quotidiano. Bisogna prendere le distanze per capirli meglio e, così facendo, si rischia di finire drammaticamente fuori strada o – peggio ancora – di finire su strade così battute e consumate che, ad ogni passo, rischiate di precipitare in un baratro.
Questo è, secondo me, il problema, non il “genere”. Se volete metterla in altre parole si potrebbe dire che è un genere molto difficile (“ma non era inferiore?” beh, appunto).
“Bisogna scrivere di ciò che si conosce” capita di sentir dire… ma quando mai. A parte il fatto che esiste un verbo come “documentarsi” vorrei dirvi che si mi fate vedere un tale che pensa di “sapere” qualcosa su una qualunque delle quotidiane relazioni umane, mi avrete fatto vedere, probabilmente, un tizio maturo per il manicomio… inutile dirvi che penso sia Qualcuno.
Sappiamo di non sapere, almeno dai tempi di Socrate, e non ci siamo mossi poi molto. In questa ignoranza sta la libertà di parlare scrivere e leggere – con uguale dignità – di cose non verosimili e non plausibili. Oltretutto, c’è già stato chi voleva possedere la Conoscenza del Bene e del Male e sappiamo com’è andata a finire (a proposito, secondo alcuni pure questa sarebbe letteratura fantastica).
Divido la letteratura fantastica, per comodità, in tre grandi aree, che si sovrappongono e s’intersecano. Si tratta di generi, se volete, e quindi vale quanto scritto sopra. Servono, fino a un certo punto, a chi legge e a chi scrive, ma non ne faccio dei totem.
Sto parlando dell’horror, della fantasy e della fantascienza.
Avevo detto, però, che mi sarei limitato a quattro chiacchiere e mi accorgo adesso di essere appena ad un quarto dell’argomento… beh, forse sono un chiacchierone.
Per adesso, comunque, mi fermo qui, riservandomi, se del caso, di riprendere il discorso. 
- continua... -
Roberto Rossi "Rubrus"

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